Cosa posso raccontare di me?
Mi chiamo Vittoria Cigana, vengo dal veneziano, sono nata e vissuta a Mestre per una parte della mia vita, in seguito mi sono spostata più volte.
Sono cresciuta prevalentemente con mia mamma che mi ha fatto da padre e da madre. Lei è nata in campagna perché i suoi familiari sono produttori di vino. Hanno 20 ettari di terreno e producono una buona varietà di vino, rosso, bianco, rosè, prosecco, merlot, cabernet, chardonnay, pinot grigio e nero.
Mia mamma è cresciuta in campagna, poi ad un certo punto ha deciso di spostarsi; è la prima di 3 fratelli ed è l’unica ad aver fatto una piccola migrazione, anche se soltanto di una sessantina di km, costruendo con mio padre parte della sua vita in città.
Io quindi sono nata e cresciuta a Mestre ma le radici della vita in campagna le sento perché, comunque, quando ero piccolina, tutte le estati le ho passate lì insieme ai miei cugini ed ai nonni. Ho tantissimi ricordi legati alla casa di campagna!
Io adesso ho 37 anni, compiuti da un mese. Sono figlia unica, per le vicissitudini della vita sono cresciuta in città con mia mamma, le estati poi mi trasferivo in campagna.
Attualmente lavoro come educatrice con una cooperativa che nasce in Friuli, però noi operiamo nel veneziano dislocati in maniera abbastanza capillare sul territorio. Lavoriamo in affiancamento ai minori in povertà educativa ed in esclusione sociale e siamo di sostegno anche alle famiglie dei minori che abbiamo in consegna.
Siamo il braccio operativo del Servizio Infanzia ed Adolescenza del Comune di Venezia. Collaboriamo tantissimo con i Servizi, molto con le scuole che di solito ci segnalano i casi e molto anche con altre realta’ territoriali, associazioni e cooperative.
Con Amici dei Popoli, qui in Arcella a Padova, ho cominciato la collaborazione ormai 8 anni fa; li ho conosciuti facendo il Servizio civile. Mi sono appassionata ad alcune attività che si svolgevano in associazione. In particolare affiancavo un’insegnante di italiano per stranieri e mi sono appassionata, così contemporaneamente, ho studiato per la certificazione di insegnamento a Ca’ Foscari. Ho passato l’esame e poi l’anno successivo, a conclusione del Servizio civile, mi hanno chiesto di continuare la collaborazione per i corsi di italiano per stranieri.
Per quanto riguardava l’insegnamento di L 2 adulti, la proposta era sempre rivolta a donne per cui la prima classe interamente mia è stata tutta al femminile.
Da allora negli anni ho collaborato sempre per i progetti di L2 ma anche per altri progetti con le Scuole per tutte le fasce di età, dai laboratori interculturali per la Scuola dell’Infanzia, fino alla primaria e secondaria di primo e secondo grado.
Il lavoro è stato rivolto ad un’utenza con un target di età molto diverso.
Negli ultimi 2 anni con Amici dei Popoli ho mantenuto solo l’insegnamento di L2 in classi di donne.
In parallelo ho cominciato la collaborazione con altre realta’ in Provincia di Padova, sempre come facilitatrice linguistica ed insegnante per stranieri, poi, da 2 anni a questa parte, come educatrice con la cooperativa con cui ho il pacchetto orario più consistente e un contratto a tempo indeterminato.
Diciamo che tra i 20 ed i 30 anni ho cambiato diverse città per motivi di studio e quindi, di conseguenza, diverse case…
La mia esperienza con le case nelle quali ho abitato è stata abbastanza positiva, nel senso che mi sono sempre molto confrontata con tanti studenti e coetanei che, come me, vivevano fuori sede.
Io, devo essere sincera, nelle case in cui sono finita poi sono rimasta e credo che questo sia stato un fattore positivo perché evidentemente ci stavo bene, altrimenti sicuramente avrei cambiato anch’io contesto.
Le case in cui ho abitato sono state importanti nei vari passaggi e sono rimaste tutte nel mio cuore.
La prima casa “altra “in cui ho vissuto, oltre a quella in cui sono cresciuta, è stata a Madrid perché ho frequentato lì l’Erasmus ed il mio 3° anno di Università. Avevo 20 anni e vivevamo insieme con 4 ragazze, 3 italiane ed 1 coreana
La casa in cui ho vissuto più tempo è stata a Bologna, dove ho studiato per la magistrale in Antropologia culturale.
Dopo una settimana di ricerca in cui ero ospite da alcuni amici, ho trovato una casa che si trovava sopra ad un cinema. Io sono un’amante dei cinema d’essai e questa casa era collocata proprio sopra. Ne avevo viste varie, ma quando sono capitata in questa… Era per 6 persone ma la condividevano in 7.
L’atmosfera che ho assaporato il giorno del colloquio di conoscenza degli altri inquilini, per come era fatta la casa, per la posizione che mi aveva catturato ed anche per il nome del cinema che si chiamava Rialto e si trovava in Via Rialto, mi ha fatto pensare: “è anche un po’ destino che io da Venezia arrivi in Via Rialto a Bologna”!
C’era stato un buon feeling con i ragazzi e le ragazze dentro la casa, mi presero e ci sono rimasta 2 anni e mezzo anzi 3, anche un po’ dopo la laurea.
La ricordo come una casa importante, positiva, piena di feste, di cene, di buon cibo, di buon vino e di risate, di amici lontani che mi venivano a trovare, di amici di amici che arrivavano magari a passare i Capodanni, c’era sempre un divano disponibile per tutti ed un bel clima accogliente!
Uno dei ricordi più belli che ho di questa casa riguarda le gare di cucina che facevamo.
Era un rituale che proveniva dagli inquilini precedenti e che poi veniva tramandato alle generazioni successive di “casa Rialto”.
Una volta l’anno facevamo il Coking contest.
Ognuno sceglieva una pietanza, ci si divideva tra chi voleva fare il primo, il secondo, l’antipasto, il dolce e si decideva un po’il menu. C’erano 3 criteri, il gusto e la preparazione, l’estetica ed anche l’innovazione o comunque la particolarità del piatto.
Noi eravamo tutti di regioni e paesi diversi, negli anni in cui ho vissuto io è passata una ragazza del Lussemburgo, una americana, una ragazza di Brescia, una di Milano, una di Roma, un paio di toscani: una provenienza molto variegata.
Questo coking contest consisteva nell’ invitare i vecchi coinquilini, le generazioni precedenti, che avrebbero fatto da assaggiatori. Tutti mangiavamo, ma poi loro dovevano votare il piatto che preferivano, secondo i criteri stabiliti, dopo di che c’era la promozione. Ad esempio tutti pagavano lo spritz al 3°classificato, un’apericena al 2°, al vincitore una cena offerta da tutti in un posto specifico di Bologna.
La cosa bella era ovviamente la serata, ma anche i giorni antecedenti di preparazione in cui c’erano persone che cucinavano in momenti diversi, preparavano le pastelle, le basi dei piatti da cuocere il giorno dopo. Poi 2- 3 giorni prima c’erano padelle ovunque, un caos molto vivace!
Se penso alla casa di Bologna penso allo studio, ma essendoci sempre tanta gente, noi 7 coinquilini più il bonus di qualche altro amico, alla fine sono sempre andata a studiare in biblioteca, perché diversamente era difficile. Solo 2-3 giorni prima dell’esame rimanevo in casa per ripetere ad alta voce, che è poi la tecnica che ho sempre usato.
Per il resto c’era chi studiava in casa, chi in biblioteca, ma poi al momento della cena c’eravamo sempre quasi tutti, se uno cucinava aggiungeva un po’ di pasta anche per qualcun altro e si metteva in comune quello che avevamo.
La casa era vissuta in questo modo.
Se ci penso mi vengono in mente due ricordi: da un lato le numerose feste che abbiamo sempre fatto e dall’altro anche la fine della storia legata a questa casa perché è stato un momento per me importante e negativo direi, una conclusione piuttosto sofferta!
Io mi ero appena laureata, per cui avevo il vuoto d’avanti del post-laurea; in concomitanza era finita anche la storia d’amore che avevo avuto a Bologna.
A questo si aggiunse un’invasione di cimici da letto nella casa.
Se ne accorsero 2 coinquilini che avevano delle punture sulla pelle, proprio dei bubboni, delle bolle, scoprendo poi che dipendevano dalle cimici!
Abbiamo dovuto emigrare in altre case, ospiti di amici, e fare più di una disinfestazione di tutto quello che c’era in casa ed è stato difficile.
La prima volta è venuto il disinfestatore in modalità Ghostbusters, tutto attrezzato e noi inquilini, con i nostri zainetti, siamo usciti da quella casa.
Ho proprio l’immagine davanti a me, lui che ci chiude la porta davanti, sigilla l’appartamento, inizia a lavorare e noi per una settimana non siamo più potuti rientrare. E’ stato piuttosto impegnativo!
Per quanto mi riguarda è stata un po’ la fine di tante cose, per altri no, sono rimasti lì, ma è stata dura perché ho saputo, a posteriori, che hanno dovuto affrontare addirittura altre 3 o 4 disinfestazioni.
Dopo Bologna e Madrid sono tornata a vivere a Mestre, in mezzo però c’è stata anche l’Australia che per me ha rappresentato “la casa” anche se finora non ne ho ancora parlato.
Tornata dall’Australia ho vissuto anche 1 anno e mezzo a Padova, non con molta convinzione perché non avevo più voglia di fare esperienze in altre case. La scelta è stata un po’ dettata dal fatto che avevo il lavoro qui e che gli affitti costavano un po’ meno che a Mestre.
Sono stata anche bene con i coinquilini, però non ero ben disposta a stare di nuovo in un’altra città, infatti, devo essere sincera, a me Padova non è piaciuta. Mi rendo anche conto che forse mi sono posta io in modo da non concederle tante chances.
Poi, ad un certo punto, nel 2019, ho deciso di tornare nella mia città in questa casetta appunto in cui abito adesso che è carina, coccolina, piccola, non è niente di gigantesco ma ha dei buoni spazi, è molto luminosa.
Ho anche il mio terrazzo che è un po’ il mio angolo zen perché mi piace prendermi cura dei fiori, delle piante; è una cosa che ho un po’ scoperto quando vivevo a Padova, con dei coinquilini amanti dei fiori con cui andavo in fioreria o in serra.
Un po’ quello, un po’ che nel periodo della quarantena mi sono messa a curare i miei fiori per far passare il lungo tempo in isolamento, ho scoperto che era una cosa che mi piaceva, mi rilassava, mi tranquillizzava, mi faceva andare via anche tutti i pensieri del lavoro.
La mia casa attuale è un piccolo appartamento di 45 metri quadri, quindi veramente piccolino, però vivibile, a Mestre.
La casa è gialla fuori e mi piace perchè sono un amante dei colori, non amo gli intonaci grigi o bianchi. Dentro è molto colorata e contiene tanti oggetti che provengono dai viaggi che ho fatto. Mi piacciono molto gli animali, rappresentati in disegni o illustrazioni, per cui in casa se ne ritrovano spesso.
Dentro i colori preponderanti sono l’azzurro, il blu ed il legno, a me piace il loro accostamento, anche con il giallo. Con il tempo ho cercato di renderla il più possibile rilassante, un po’ un angolo di Grecia. Ho messo la paglietta all’esterno ed il legno all’interno; questi colori mi rilassano, mi fanno respirare, ho cercato di adattarla alle mie esigenze.
Mi piacerebbe magari un poco più grande, ma non esageratamente, basterebbe avesse una stanza in più ed un terrazzo più ampio. La cosa però che mi manca molto e che mi fa sperare che non sia la casa definitiva, è il verde intorno.
Io abito in una zona che è un quartiere residenziale ma fuori non ci sono molti alberi e questo mi fa soffrire parecchio. Il mio angolino è verdissimo ma se guardo a destra, a sinistra, in su ed in giù il verde non c’è, me lo sono creato. Ho anche un geco che mi viene a trovare, da me sta bene, nelle altre terrazze che sono grigie non c’è spazio per lui.
Ormai abito lì, per conto mio, da 3 anni e mezzo, mi piace abbastanza ma non la sento la casa definitiva!
Di giorno sento tanto i vicini, le chiacchierate, i toni di voce che cambiano, gli odori; di sera e di notte invece è tranquillo.
Ho l’olfatto particolarmente sviluppato, sento l’odore della casa del mio vicino e riconosco da quello se ha aperto il suo terrazzo. Oppure quando i miei vicini hanno cucinato, sento che sale su il profumo di cibo che a me piace molto. Come dirimpettai ho una famiglia bengalese con dei bambini che ogni tanto scambiano delle battute con quelli del pianterreno e si creano delle dinamiche particolarmente buffe.
A me piace sedermi nel mio terrazzo, tra le piante, magari bermi un tè, guardare il cielo e cercare un po’ di evadere dal grigio che c’è intorno, dai palazzi che ci sono e che un po’ mi costringono. Mi piacerebbe avere un orizzonte davanti.
La mia casa, in questo momento, la definirei un “nido” nel senso che è a mia misura, gestibile, né troppo grande né troppo piccola, è un buon compromesso anche se sento che mancano ancora alcune cose, vedremo.
Ogni tanto la casa “parla” nel senso che riconosco dei rumori.
Io lavoro molte ore fuori ma, quelle poche volte che lavoro da casa, sento un rumore che proviene da un mio vicino, che non ho ben capito cosa faccia, sembra che stia tagliando della verdura, ma è riprodotto sempre nello stesso modo e in momenti diversi della giornata. Sarebbe curioso bussargli per chiedergli cos’è quel rumore esattamente.
Nel quartiere dove vivo abitano tante famiglie dell’est Europa.
Devo essere sincera, finora ho conosciuto solo la persona che abita nella porta accanto alla mia, una signora vedova ed in pensione a cui ogni tanto si sballano i canali della TV ed mi chiede a volte di darle una mano per rimetterli a posto. Un periodo in cui stava male, di nascosto, mi mandava a comprarle le sigarette perché non voleva chiederlo al figlio. E’molto simpatica, amante delle bocce, mi raccontava delle partite che faceva con i suoi coetanei, ora però esce meno.
Conosco al piano di sotto anche una coppia di ragazzi più o meno della mia età, ogni tanto facciamo due chiacchiere; una volta mi hanno dato una mano perché mi si era rotta la serratura ed io ero rimasta fuori.
Quando siamo entrati in questa casa in coppia con il mio compagno, era già arredata, c’erano alcune cose che mi piacevano, come delle mensole azzurre che ho tenuto ed altre che proprio non riuscivo a vedere, come degli improbabili quadri di pagliacci attaccati alla parete che mi facevano ansia e che abbiamo eliminato subito.
Ho tenuto invece una credenza, che non mi piace particolarmente per lo stile, ma che è comunque molto utile.
Ci sono poi altri mobili che ho portato io, come la libreria in legno ed altri che abbiamo comprato quando eravamo già dentro, come una poltrona, sempre sull’azzurro; da poco tempo è arrivato anche un divano. Ogni tanto cambio la disposizione degli arredi dove posso, ad esempio in cucina.
Poco tempo fa sono venuti a trovarmi degli amici tra cui uno che non vedevo da molto tempo e si è accorto della differenza, di come è cambiata questa casa in 3 anni e mezzo.
Mi piacerebbe moltissimo avere un gatto ed anche un cane ma, in questo momento, non sono gestibili; in uno spazio così piccolo sarebbero sacrificati. Il mio gatto è rimasto a casa di mia mamma, l’avevamo preso quando io abitavo lì, è il nostro gatto, ma non mi sentirei di spostarlo.
Certamente prendermi un gattino potrebbe essere uno dei prossimi passi.
Io lavoro molto fuori casa, anche dalla mattina al tardo pomeriggio, è un lavoro molto dinamico, può succedere che salti un incontro domiciliare ed allora si rivede la struttura della giornata. Se salta la mattina e riesco, mi piace l’idea di farmi la colazione con calma, se possibile anche in terrazza, se no vivo la casa prevalentemente nel tardo pomeriggio -sera e mi piace d’inverno, quando torno, farmi un tè.
Il tè rappresenta per me proprio un momento sacro.
Questa abitudine proviene dalla mia famiglia, nel senso che con mia mamma ci siamo sempre dedicate questo momento tutto nostro in cui parlare ed eventualmente da condividere con chi arrivava. Lei ha sempre offerto il tè a tutti ed io l’ho, a mia volta, riproposto nella mia vita. Quindi d’inverno il tè con i biscotti o con una fetta di torta è il momento, il rituale che crea uno stacco tra il lavoro e tutto il resto.
Adesso che comincia a fare caldo mi piace anche l’idea di tornare a casa e bermi un bicchiere di vino o una birretta in terrazzo, godermelo ripercorrendo i momenti della giornata, le cose fatte e come sono andate.
Il terrazzo è per me il luogo fondamentale della casa, sia che sia bel tempo che brutto tempo.
Mi piace molto ascoltare il rumore della pioggia ed anche quando ci sono i temporali, sedermi fuori ad ascoltarli.
Quando vengono le mie amiche a trovarmi mi piace pranzare o bere il tè lì fuori, fare le nostre chiacchierate; so che lo apprezzano molto e mi riferiscono che, pur essendo piccolo, assomiglia un po’ un microcosmo.
Per me la definizione di casa è “quando senti di essere te stessa “.
Se penso a dei punti fissi, penso alla mia casa e a quella della mia famiglia, di mia mamma e dei miei nonni in cui sono cresciuta da piccolina, poi la mia idea va subito alla casa in Australia.
In tutti questi ambienti c’è stata condivisione, dalla cena, alla colazione, al momento di sconforto, alla risata, al ballo, alla musica.
Io penso che un bambino può vivere in una casa bellissima ma se poi dentro non si sta bene, il che non vuol dire che vada necessariamente sempre tutto bene, ma se non c’è un bel clima tra le persone che la condividono, quello spazio non riesce a diventare casa.
Diversamente, anche in una casa piccola o scomoda può instaurarsi quell’energia, a volte anche dettata dal caso, tra persone che si incontrano e che mi piace pensare “dovessero convergere proprio in quel posto in quel determinato momento”
Spesso nelle case condivise non sai, all’inizio, esattamente cosa troverai entrando, come è successo in particolare per la mia esperienza in Australia che è stata molto positiva, ma anche un pò per le altre.
In questo momento sono legata alla mia casa attuale perché, dopo tanti giri, avevo voglia di stare in un posto fisso ed anche vicino alla mia famiglia, avere insomma tutte le cose vicine.
Comunque per quanto vivere fuori sia stato super bello e non cambierei nulla di tutto quello che ho fatto, rappresenta sempre un ricominciare tutto daccapo, dalle relazioni, al cercare casa o banalmente dal supermercato, ai mezzi di trasporto.
Quello che volevo trovare era una base, una stabilità che sto difendendo da altre spinte che mi sollecitano a spostarmi nuovamente dicendo “dai, facciamo, andiamo, stiamo via un anno ” mi sono resa conto che in questo momento la mia risposta è no; poi non lo so.
Cosa mi piace della mia casa attuale? In camera, appesa alla parete, ho una mensola che fece il mio compagno a Bologna che per diletto lavorava il legno. E’ quadrata, fatta con le cassette dei sigari cubani, di legno massiccio, scuro, molto semplice ma molto originale.
Ho anche una lampada in legno molto bella, sempre fatta da lui con delle cassette, ha un velo leggerissimo davanti e, una volta accesa, sembra di vedere un tramonto.
Questi due oggetti me li sono sempre portati dietro, ce li avevo a Bologna, me li sono portati a Padova ed ora sono qua; mi hanno sempre seguita.
Se dovessi scegliere uno spazio tutto mio direi il tavolo dove lavoro, anche se adesso, vivendo da sola, sono tutti spazi miei, per cui non rappresenta più un problema. Quando però condividevo le case con altri studenti e gestivo lo spazio in doppia con un’altra ragazza, la parte di cui ero un po’ più gelosa era proprio il tavolo. Nel momento che avevi le tue cose di lavoro sopra, libri, documenti, il fatto che qualcuno arrivasse e ci poggiasse un bicchiere d’acqua o una giacca mi disturbava.
La caratteristica principale che mi ha fatto scegliere la casa attuale è il fatto che sia molto luminosa .
Ha delle belle finestre appena entri nella cucina-salotto, è molto aperta, quindi sia d’inverno che d’estate entra luce.
Ci sono queste grandi porte finestre che quando le apro nel periodo estivo, aumentano la grandezza della stanza nel tardo pomeriggio, quando inizia ad esserci il tramonto, permettono alla luce di investire completamente tutta la casa e mi piace perché si tinge di giallo, di ocra, arancione.
Se arrivano degli amici durante quelle ore e possono vederla con questa luce, mi fa ancora più piacere.
Mi ha colpito anche che sia all’ultimo piano e che non mi ritrovi nessuno sopra la testa.
In casa di mia mamma, negli ultimi anni che vivevo lì, soffrivo molto di avere sopra di noi una famiglia con 3 bambini e mi sono resa conto nel tempo, che per me rappresentava un fastidio che non riuscivo più a gestire e che mi metteva proprio di cattivo umore.
Per carità era una famiglia particolarmente rumorosa, ma se ci sono dei bambini è normale che si muovano. All’epoca decisi che dovevo andarmene perché il problema era mio, non tanto dei bambini.
Cercavo una casa luminosa, arieggiata e che non avesse nessuno sopra.
A Mestre, per un breve periodo di passaggio di circa 2 mesi, sono stata nell’appartamento di un amico che era via e che aveva trasformato in B&B.
Nel momento in cui ho avuto una disponibilità anche economica diversa ho detto: torno a Mestre, Padova non mi piaceva, e sono in affitto.
Ho convissuto sempre in case in cui ero io in affitto con altre persone, da 3 o a 4 a Padova a 15 come in Australia, poi ad un certo punto ho detto: ho voglia di avere un mio spazio, ho 32 anni, le mie esperienze di condivisione le ho fatte.
Sono entrata in questa casa in coppia, poi le cose sono andate in un certo modo ed ho deciso di rimanerci da sola. Ora è a misura mia.
Quando mi sono ritrovata in questa casa totalmente da sola ho sofferto molto. Era un periodo difficile perché c’era il covid, non avevo più il compagno, mi sono gestita da sola in toto, anche economicamente pagando l’affitto che prima dividevamo.
Superato questo periodo complicato, ho imparato nello stare da sola anche delle cose importanti su di me. Chiaro che va in parallelo con un momento in cui tutti ci eravamo socialmente ristretti, ma ora mi sono imposta di fare più cene e ricordarmi di non perdere questa abitudine di invitare amici a casa; in questi 2 anni in effetti ho condiviso poco.
Vorrei avere una terrazza più grande e con un po’ più di verde intorno. Adesso ho un tavolino, le sedie, una piccola sdraio, i fiori ma vorrei metterci un’amaca ed una tavola molto grande per i pranzi con gli amici.
Non rinuncerei alla posizione in cui si trova la mia casa attuale, è comoda per arrivare a casa di mia madre, alla tangenziale, alla stazione, ai Servizi.
Se penso al posto in cui sono stata meglio in assoluto per un insieme di cose, le persone con cui vivevo, il contesto geografico, il clima, la natura, la rilassatezza, l’easy going come si dice in inglese, la facilità del vivere, è l’Australia.
Sydney è la città in cui inizialmente mi ero ripromessa di rimanere 6 mesi ma poi ci sono vissuta per 8 mesi, dopo mi sono spostata da lì per viaggiare, ma stavo molto bene.
Era una casa grande a 2 piani in cui vivevamo in 15 provenienti da tutto il mondo, Indonesia, India, Messico, Brasile, Spagna, Emirati arabi, Danimarca, Italia. Nonostante fossimo in 15, quindi tanti e con background culturali molto diversi, è stata la casa dove ho vissuto meglio in assoluto.
Molte delle persone che ci vivevano in quel momento, sono state “famiglia”, perché tutte lontano dalle rispettive famiglie e quindi tutte probabilmente con le stesse esigenze di ritrovarsi in un posto sicuro.
In 8 mesi, per dire non c’è mai stato un litigio tra noi neanche per lavare i piatti, cosa che potrebbe succedere nella quotidianità.
La casa era grande aveva un grandissimo soggiorno-cucina, con 3 frigoriferi, il salotto aveva un divano gigante era, tutto grande, in cui convergevano le varie stanze, alcune singole, alcune, come la mia doppie. C’era poi una grande porta scorrevole che dava in realtà su un giardino che, a sua volta, si apriva su delle scalette che portavano ad un’altra piccola casa con altri 5 posti letto ed altre scalette che portavano ad un’altra casa con altri 3 posti.
Questo fece sì che la casa fosse sempre piena di persone.
Prima di partire non sapevo dove sarei finita, mi affidai ad un’agenzia che faceva corsi di lingua inglese e che mi aveva chiesto: vuoi stare in famiglia od in una casa condivisa? Ho risposto condivisa.
Mi ricordo che sono arrivata a Sydney dopo un viaggio di 26 ore e mi accolse una coppia, un ragazzo ed una ragazza brasiliani che sapevano che stavo arrivando, mi chiesero: da dove vieni? da Venezia? Mi dissero che lì c’è un’altra ragazza di Venezia e così conobbi Tamara con cui ho legato tantissimo e che è stata un po’ la mia mentore delle prime settimane in Australia, mi ha fatto capire un po’ come gestire certe cose e come muovermi nel paese.
Fin dal primo momento c’è stata una grandissima accoglienza che è stato poi lo stesso modo di dare ospitalità a chi è venuto dopo. Chiunque venisse a trovarci, in casa nostra c’era sempre un ottimo clima per cui anche le altre 2 casette convergevano da noi, a volte eravamo in 15 più altre X persone.
Io in Australia c’ero andata un po’ per studiare, migliorare l’inglese imparato a scuola, un pò per lavorare, anche se non nel mio settore, un po’ per viaggiare e conoscere il paese ed è quello che ho fatto.
Si mi sarebbe piaciuto abitare lì!
E’ stato molto difficile decidere di rientrare ed altrettanto difficile riabituarsi a vivere a Mestre.
Sono tornata a dicembre che lì era estate e qui era inverno e sopra all’aeroporto Marco Polo c’era la nebbia. Sono scesa in infradito e mi ricordo che mia mamma mi ha portato gli scarponi ed una giacca.
Il primo mese è stato difficile ed un po’scioccante.
Tornando indietro con il ricordo e domandandomi se ci rivivrei, da un lato direi di si perché so che Sydney è una città che funziona bene, ha una modalità ed uno stile di vita molto più rilassato, ma dall’altro no perché non ci sarebbero più le stesse persone che ho conosciuto all’epoca, quindi non sarebbe più la stessa cosa.
Io ho fatto una scelta perché rimanere a vivere lì avrebbe voluto dire tagliare con tutto quello che lasciavo qua. Era tutto talmente distante!
Trovo difficile rispondere alla domanda “dove vorresti vivere”: a me piace moltissimo la montagna, faccio i miei trekking, mi piace andarci per 2 giorni, farmi l’anello e se non ci vado un po’ mi manca.
Mi piacerebbe vivere vicino al mare, avere la possibilità di uscire di casa in infradito ed andare a camminare magari la mattina prima di andare al lavoro. Ad esempio il Lido di Venezia non mi dispiacerebbe.
La campagna mi piace molto perché ci sono cresciuta con gli odori, i rumori, i ritmi.
Quando ero ragazza amavo la città perché ti offriva tantissime possibilità, dal cinema al concerto, ora invece la città mi stringe. Quindi diciamo che la cosa che mi piacerebbe di più è avere una casetta non troppo grande ma un po’ più grande di quella attuale, un po’ più vicina alla natura, con degli alberi, dei campi, del verde intorno, se poi fosse anche vicino al mare sarebbe tanta roba!
Forse in mezzo al nulla mi sentirei un po’ sola, non sicura, pero’ non vorrei abitare in un condominio come quello in cui sto adesso. Magari in una casa che ha al pianterreno un’altra famiglia ed un primo piano con terrazza si, comunque io sceglierei sempre l’ultimo piano per non avere nessuno sopra.
In casa mia ci sono tante cose, tanti colori ma è molto ordinata, non un ordine stucchevole, però l’ordine mi piace, perché quello esterno mi da ordine mentale.
Sono particolarmente legata a due oggetti: il tavolo ed il divano .
Sul tavolo io ci lavoro, ci mangio, è lo stesso tavolo intorno al quale convergiamo tutti quando viene qualcuno a trovarmi.
Il divano perché quando sono entrata in casa ce n’era uno gigantesco ma era troppo grande, quindi lo facemmo portare via. Al mio compagno però il divano non interessava perché in famiglia non ne hanno mai posseduto uno, dormivano seduti sulla sedia, molto scomodo. Abbiamo allora trovato il compromesso di una poltrona letto ma anche quella era scomodissima, per cui io quest’anno mi sono finalmente recuperato un divano.
Diciamo che in questa intervista è emersa l’importanza della casa in Australia, anche se stranamente non ne abbiamo parlato subito, ho iniziato con tutto il resto questa volta.
Di quella casa ricordo tanto anche i suoni. Mi ricordo che mi svegliavo con il cinguettio degli uccelli tropicali che non avevo mai sentito o mi addormentavo con le voci dei miei coinquilini e che non erano un disturbo, c’era sempre qualcuno e mi sentivo sicura.
Una cosa molto bella che mi accadeva era che mi rendevo conto di essermi addormentata sorridendo!
Se sento, in altre situazioni, di aver passato una giornata particolarmente piena di cose positive ed emotivamente forti e mi capita di addormentarmi, mi scatta il sorriso ed il ricordo rimanda là.
Ho fatto una carrellata di tante cose ed adesso mi viene un flash, un ricordo dovuto a tutti questi spostamenti, io per anni ho sognato di fare valige, specialmente quando sono tornata dall’Erasmus a Madrid ed ogni tanto mi capita ancora. Avevo queste valige da fare, da chiudere e trasportare da sola, con tante cose. Uno parte con una valigia ed uno zaino e poi dopo un anno torni con mille altre cose, qualcuna la lasci lì, qualcuna te la porti dietro, poi sempre di più. Adesso lo sogno meno.
Sento che avevo bisogno di mettere dei punti fermi, poi non lo so perché a volte si cerca di costruire un percorso ma poi il percorso magari non va e quindi vedremo.