Sono venuta in Italia per fare il dottorato di ricerca in ingegneria meccanica, 30 anni fa. Era molto complicato riconoscere la laurea in quel momento e non avevo la lingua italiana per cominciare a fare l’ingegnere. Poi sono arrivati i figli e abbiamo cominciato a fare questo lavoro per sopravvivere.
La mia famiglia di origine era formata da mio padre, mia madre, mia nonna, cinque sorelle e un fratello. Eravamo una famiglia grande, bellissima. Hanno studiato tutti. Mio padre ha cominciato da sotto zero, perché cacciato dal suo paese di origine, la Palestina, quando è nato Israele. È andato in Siria e subito si è messo a lavorare per aiutare sua madre e sua moglie e sua sorella e poi siamo nati noi. Una famiglia grande. Era una famiglia bellisima, equilibrata e tutti hanno studiato, tra ingegneria, arte, di tutto di più. Sono tutti laureati.
Tutti anche sono sposati, hanno famiglia e tutti i nipoti lo stesso: hanno studiato e sono laureati. Adesso mio padre e mia madre sono morti purtroppo e siamo rimasti solo noi. Io sono nel mezzo, tra i fratelli. C’è una parte più grande, perché volevano smettere di fare figli, hanno smesso per cinque anni, dopo siamo nate io e altre due sorelle. Allora era più comune, sessant’anni fa. Siamo nati tutti a Damasco, i genitori dalla Palestina, costretti a lasciarla. Adesso non c’è più nessuno a Damasco, sono tutti emigrati, fuggiti dalla guerra.
La casa era gigante. Semplice, bella. Perché eravamo in tanti e lì la gente vive di poco. Le stanze non arredate perfettamente, si dorme sul materasso. Le sedie, per mangiare sul tavolo, ma era una cosa molto semplice. E dopo è arrivata la TV, che prima non c’era. Mi ricordo quando c’era una sola TV nel quartiere: andavamo a guardare tutti! Dopo, negli anni ’70, arriva la TV a tutti nelle case. Avevamo una casa bella, grande, ancora adesso c’è… l’hanno venduta, ma c’è ancora. La cucina era molto diversa da quello che pensate, perché c’era un gas, dove si cucina, un lavabo e il piano di lavoro, un semplice tavolo.
Cucinava mia nonna, perché mia nonna era ancora giovane e forte di carattere, una personalità era! Cucinava lei, le piaceva cucinare. Aveva mani d’oro per cucinare. Mia madre era sempre l’aiutante della nonna. Perché si occupava della famiglia, dei figli, di lavare i vestiti, i piatti. Ma a cucinare era mia nonna. La nonna era la mamma di mio padre. Lei era stata sposata a 13 anni con un uomo di 40 anni, ma era innamorata di lui, ma lui è morto quando mio padre aveva sei anni. Mio padre era nato nel 1924. Negli anni ‘30 mia nonna è rimasta vedova con un figlio e ha cominciato a fare la sarta, a fare lavoretti per mantenere il figlio. Lei sapeva la lingua araba e turca, sapeva leggere il Corano era molto… perché veniva da una famiglia benestante. Non benestante di soldi, ma benestante di cultura, perché suo padre era quasi giudice della città dove vivevano. Non si voleva risposare, voleva mantenere il figlio, perché se si sposava la famiglia del padre prendeva il figlio. Lei ha voluto non sposare e mantenere il figlio. Allora la famiglia ha trovato un accordo, di darla a un parente del marito. È nata mia zia dopo. Ma anche il secondo marito è morto. Lei aveva 20 anni ed era già vedova due volte. Ha sacrificato la sua vita, ma era forte di carattere, di personalità. Era molto brava!
E cucinava lei, e ci insegnava e io ancora adesso mi ricordo tutte le cose che lei diceva, ricordo le sue parole, la sua voce. Ci diceva: dovete essere come… (lei parlava in arabo con noi, devo tradurre…) diceva: “quando cadi devi cadere in piedi, perché non ti aiuta nessuno e devi aiutare te stessa, perché sei una donna, non devi appartenere… non devi essere sottomessa a un marito o a un uomo. Devi avere la laurea, devi avere lo studio, devi avere il lavoro, così non ti inginocchi mai”. Diceva sempre mia nonna: “dovete essere forti, non costruite cose… fesserie, non è che arredate una casa che domani viene qualcuno a prenderla, una guerra, un terremoto. Dovete costruire la testa, il cervello, sapere anche tappare le ferite, tappare le cose…”. C’è chi dice che bisogna imparare per diventare grandi. Mia nonna invece mi diceva sempre: “dobbiamo imparare fino alla morte!” questo era l’insegnamento di mia nonna. Era sempre lei che in casa ci insegnava tutte le cose, e ancora adesso ogni cosa che faccio penso a mia nonna, da quanto potente era. Era una brava persona e ci ha fatto crescere in questa casa, purtroppo lei è morta all’inizio degli anni ’90.
Mia madre, una persona semplice, era analfabeta, non come mia nonna e mio padre, che sapevano leggere. Anche lei veniva da una famiglia numerosa, dove facevano studiare uno sì e uno no, uno sì e uno no. A lei toccava di non studiare. Ma era una donna molto intelligente, brava, gentile, sempre con il cuore per gli altri, era sempre… guardava gli altri come faccio io, metteva tutti gli altri prima di lei. Ci ha fatto crescere con la nonna, con una casa bellissima, una famiglia stupenda, una cultura immensa, siamo cresciuti di umanità. Mi ricordo che quando mio padre portava il cibo a casa, perché mio padre lavorava e aveva i soldi, avevamo dei vicini molto poveri e mia madre, prima di mettere qualsiasi cosa, per esempio la frutta della stagione, diceva: “Nessuno tocca niente! Questa parte va ai vicini, perchè loro non possono comprare, e dopo cominciamo a mangiare noi.” Siamo cresciuti in questa mentalità, di guardare sempre chi non ha, il povero, perché noi avevamo, e dovevamo dividere con varie persone, varie case, casa della zia, casa dei vicini, perché avevano dei piccoli che non potevano mangiare. Ogni piatto, ogni pentola che viene cucinata a casa, c’è il piatto che dobbiamo portare a questa famiglia, a quest’altra famiglia.
Questo è l’insegnamento che abbiamo ricevuto.
La nonna mentre cucinava ci diceva: per cucinare questo piatto devi fare…, guardami, perché ti servirà più avanti... Io pensavo: ma che? Questa nonna è arretrata, io non voglio cucinare! Più avanti cucinerà il marito!
E lei diceva: devi fare così, perché se nella carne metti questo ingrediente diventerà più morbida, se metti questa spezia prima, o dopo, il gusto cambia.
Mi diceva: dai vieni con me – non solo a me, anche alle altre, ma di più a me perché ero tanto buona e tanto legata a lei – mi diceva: queste cose ti serviranno nella vita. Io dicevo: non mi servirà niente di queste cose! Avevo 6 anni, 8 anni, 10 anni, siamo cresciuti tutti i giorni sempre con lei. Lei faceva dei piatti superbuoni, a livello di chef, che adesso non sanno fare, e diceva: se metti le spezie prima cambia il gusto, le spezie vanno messe dopo perché così non danno gusto amaro. Se metti per esempio un po’ di limone sopra le foglie verdi, riesci ad assumere il ferro… Adesso mi stupisco di come sapeva queste cose di cultura popolare, che oggi si spiegano con la scienza: se non c’è la vitamina C non riesci ad assumere il ferro che c’è nelle foglie verdi. E queste cose ci hanno insegnato senza sapere come.
Per ogni cosa c’era il rimedio, per ogni tosse, per ogni mal di pancia, c’era l’erba, o i fiori, o la tisana o l’erba di montagna. Erano dei medici di una cultura perfetta! Mia nonna era così! Mi ha insegnato ricette, parlando e facendomi vedere e dopo mangiare! Se ti piace il piatto, poi ti ricordi che la nonna l’ha fatto così, così, così. Cibo della mia regione di provenienza, mediterraneo molto molto vasto, con utilizzo di carne, verdure, riso sempre e un po’ di spezie. Le spezie non coprivano il gusto, come nella cucina indiana. C’è la spezia per ogni pietanza, non si mette qualunque spezia su tutto. Per questo si mette questo, per l’altro si mette altro. Abbiamo imparato vedendo la preparazione e assaggiando. E c’erano delle ricette superbuone! Anche adesso, se io le faccio come faceva mia nonna vengono buonissime!
C’è un piatto che la nonna amava, si chiama Kuppé, è a base di bulgur e carne macinata insieme, con un po’ di spezie e farcito di carne, noci, cipolla. Lei adorava questo piatto! Io non ero amante di quel piatto, perché quando lo mangiavo mi gonfiava la pancia, forse per me il bulgur è pesante da digerire. Lei invece diceva: no, questi non mi fanno niente! Lei mangiava di gusto, le piaceva tanto… È un piatto molto sostanzioso e anche tradizionale della sua zona, da dove sono venuti. Dopo anche mia madre ha cominciato a farlo e i miei figli lo hanno assaggiato quando sono andati a Damasco, a loro è piaciuto tanto! Ogni volta, quando lo faccio, mi ricordo mia nonna, mia mamma, mio padre, e penso anche ai miei figli, che lo amano. Per questo ogni tanto lo faccio… io ne mangio poco. Io di natura mangio poco, ma mi piace l’odore, il sapore mentre lo faccio. Sono molto felice quando lo faccio, non lo faccio con ansia!
E le verdure cotte tagliate, rosolate con un po’ di olio e cipolla… avevamo delle foglie verdi che si vendono al mercato e sono una bontà, che qui non si trovano. La portulaca, e la malva per esempio, io adoro queste erbe, cotte con cipolla e olio extravergine e poi un po’ di limone. Un piatto di un valore e di una bontà…! E c’è anche il mulughia, che appartiene alla stessa famiglia, ma è diverso un po’…
Quando siamo venuti in Italia avevo 27 anni, ero già laureata e volevo fare il dottorato, ma era molto difficile entrare. C’erano due posti e quaranta domande. Mi mancavano pochi punti per entrare, proprio pochi punti, ma non sono riuscita a entrare. Noi non conoscevamo la lingua italiana.
Allora ho cominciato a fare lavoretti. Eravamo nel Friuli Venezia Giulia, c’era una signora che aveva un albergo ristorante, e io non sapevo niente. Lei mi diceva: vieni ad aiutarmi, così mi aiuti a lavare i piatti. Io poi, mentre lavavo le cose, guardavo cosa stava facendo, da sola, senza chiedere, perché non sapevo parlare italiano, avevo solo qualche parola. E vedevo che lei faceva degli spaghetti, le cose con le vongole, le crespelle e quelle cose farcite. E faceva il ragù… Io guardavo e dopo lei mi diceva: dai, dai… e io domandavo: come hai fatto? Come si chiama? Perché…? Lei mi rispondeva: che la pasta deve essere cotta al dente, il ragù deve essere senza troppi grassi sopra, e saporito, e quando viene cucinato a lungo diventa morbido e buono… Io mi mettevo in testa queste cose, senza sapere che mi sarebbe servito anche quello, per cominciare il mio lavoro. Erano i primi insegnamenti della cucina italiana, che è una cucina meravigliosa, buonissima, semplice, mediterranea. Somiglia alla nostra ma è un modo diverso di cucinarla.
Poi facevo la pasta per gli operai, faccio il ragù, bistecche, scaloppine. Non qua, in un locale che avevo prima di questo.
A me piace provare le cose nel mio modo, anche cambiando un po’ le ricette. Per esempio il ragù: io ho visto come lo cucinano, ma io l’ho cucinato al modo mio. Usando un pochino di spezie mie, poco poco poco, è venuto una meraviglia. A dire poco: buonissimo! Anche quelli che l’hanno mangiato hanno detto: meraviglioso, buonissimo e leggero!
Dopo ho cominciato a modificare anche le ricette, sia della nostra tradizione originale sia della vostra, perché per me la cucina deve essere salute e leggerezza. Non devi mettere una bomba nello stomaco e magari resti giorni che non riesci a digerire. Devi mangiare cose sane. Non tutte le cose che mangiamo sono utili per la nostra salute. Allora ho cominciato a diminuire gli zuccheri, a diminuire i grassi, a usare olio exrtravergine. Questo è diventato il mio modo di semplificare la cucina e preparare le cose originali, ma al modo mio. Infatti una signora mi dice: Signora, devi chiamare questo locale “Al modo mio”, perché tutte le cose che fai le fai diversamente, al tuo modo!
Questa del ristorante è anche la cucina di casa, perché abitiamo sopra e la cucina di sopra è piccola e non è attiva. Quando mangiamo in casa portiamo già pronto, qui ho un gas grande, sono comoda, riesco a saltare i cibi nella padella…
Ho due figli uno ha 24 anni e l’altra ne ha 21. Lui studia ingegneria meccanica, è all’ultimo anno. Mia figlia studia giurisprudenza come il padre, qui a Padova. Anche mio marito è laureato e voleva fare il dottorato di ricerca, ma non è riuscito.
Negli anni novanta la politica italiana era complessa in modo strano. Allora non c’era internet, qui non si parlava la lingua inglese. Non era come adesso. Chi veniva qua solo per studiare non poteva lavorare, non poteva fare i documenti. Devi studiare in lingua italiana, ma non ti danno la possibilità di impararla, come si può? Io dovevo fare l’esame di dottorato di ricerca in lingua italiana dopo dieci giorni dal mio arrivo, ma non conoscevo una parola. L’ho fatto, ho studiato, ho preso 36 ma serviva 40. Poi anche per lavorare ci vuole una lingua perfetta. Adesso parlo e capisco tutti i termini, ma appena arrivata… dopo due mesi, o anche un anno, non puoi lavorare se ancora non conosci i termini italiani. Per una persona straniera era molto complessa la cosa. Per quello siamo stati costretti a lasciar da parte la laurea e trovare un altro modo di sopravvivenza, perché era impossibile.
Non era come adesso. Chi ha un po’ di inglese riesce subito a trovare un lavoro. Allora non era così, nessuno sapeva l’inglese, qua. Non c’era internet quando sono venuta. Ho fatto anche un corso a Venezia per ingegneri, per imparare ad usare il computer. Erano i primi anni dell’internet, era tutto diverso.
Era un cambiamento forzato, costretti, non era una scelta. Devi andare, e dove? Noi non avevamo un paese. La Palestina occupata, la Siria… non siamo siriani. Lui viene dalla Palestina e non può tornare, perché gli israeliani non lasciano tornare nessuno, perché vogliono svuotare la terra. Non avevamo nessun posto. Eravamo costretti a restare qua e accettare… Devi lavorare in qualunque modo. E abbiamo trovato una soluzione, di aprire un locale, anche faticosissimo, lontano dalla nostra laurea, per poter mangiare onestamente, senza inchinarsi e chiedere l’elemosina a nessuno.
All’inizio siamo venuti perché conoscevamo uno che ci ha affittato una casa ad Asolo, a Villa di Asolo. Dopo ci siamo trasferiti in Friuli Venezia Giulia, perché abbiamo cominciato a fare lavoretti nei ristoranti, o qualunque lavoro. Mio marito ha trovato come pizzaiolo, io facevo l’aiuto di questa signora.
Dopo siamo riusciti ad iscriverci all’Università di Padova, per stare qua. Perché era impossibile stare qua senza un motivo, e lavoro… non ti danno lavoro anche se studi. Ci siamo iscritti a Scienze politiche, ma era molto complicato andare avanti, perché dovevamo o studiare o lavorare, era impossibile. E la lingua italiana non era ancora perfetta. Siamo riusciti a cambiare il permesso di soggiorno da studio a lavoro e abbiamo lasciato lo studio, perché dovevamo pensare a mantenerci. Dopo arrivano i figli, e devi pensare a costruire un futuro per loro…
A me piace cucinare qualsiasi cosa buona, in modo semplice e pensando alla salute. La pasta italiana, il riso nostro, i piatti nostri. Cucinare per lavoro, per il ristorante, è una cosa diversa perché devi fare grandi quantità, fare il falafel o il riso di tutti i giorni cominci a stancarti… ma cucinare per te o per i tuoi figli o per i tuoi amici è un’altra cosa. A me piace cucinare le cose buone. Qualunque cosa. Mi basta vedere qualsiasi ricetta, di qualsiasi paese e vado a farla, e di solito faccio qualche variazione come piace a me.
Noi abbiamo cibi collegati a feste particolari, ma a me non interessano tantissimo, perché le feste per me… lontana dalla mia famiglia era una sofferenza e non festeggiavo, perché loro erano in un altro paese e io ero qua da sola… per la verità non ho fatto grandi festeggiamenti e cucine speciali, però sì, ci sono anche tantissimi dolci per ogni festa, un piatto per ogni festa. Forse ogni tanto faccio un dolcetto per la nostra festa e lo faccio assaggiare ai nostri amici, o per Natale… lo chiamo Natale perché la festa nostra somiglia al Natale e qualche volta è nello stesso periodo, qualche volta no… perché la nostra festa gira, non ha una data fissa come il Natale.
I miei figli sono nati qua, sono al cento per cento italiani e anche il loro cibo. Mentre io lavoro tornano da scuola. Cosa fai? Facciamo la pasta veloce, facciamo la bistecca veloce, facciamo il petto di pollo veloce, le patate al forno, l’insalata. Tutte cose che sono facili, semplicemente, ma sono buone, e sono cresciuti con questi piatti. Ogni tanto c’era un piatto arabo, facevano fatica ad assaggiarlo. Adesso lo assaggiano, lo apprezzano ma non tantissimo. Forse crescendo piano piano si stanno avvicinando di più, ma una volta, quando erano adolescenti, non volevano neanche saperne. Per loro va bene la cucina italiana, la pasta, la pizza, la bistecca, il petto di pollo.
Io sono molto interessata ai contenuti nutritivi, faccio anche degli studi, delle ricerche, per sapere che cosa contiene il cibo, i componenti, le vitamine… faccio da sola i miei studi per conoscere la scienza del mangiare sano. Per mangiare buono, mangiare saporito senza trascurare il gusto, ma anche senza danneggiare la salute.
Io non mangio molto. Da quando ho cominciato a cucinare tanto ho cominciato ad avere meno appetito. I cuochi sono così, o cominciano a mangiare tanto, troppo, o cominciano a non mangiare niente. L’odore continuo forte del cibo mi blocca veramente l’appetito. Allora riesco a mangiare un pezzo di pane, un pezzo di formaggio, un pomodoro fresco tagliato, piuttosto che mangiare le cose per cui la gente impazzisce. Magari due o tre giorni dopo, se rimane nel frigo un pochino di quello che avevo cucinato, riesco ad assaggiarlo, perché dimentico gli odori.
Mio marito non cucina. Ogni tanto un piatto per i figli. Lui fa il pane e la pizza.
Io adoro le verdure. Adoro, adoro, adoro le verdure! In qualunque modo. Cucinate semplicemente, crude… le verdure! La carne mi piace un po’ meno, ma la mangio. Quello che proprio non mi piace è la carne cruda. Qualunque tipo di carne cruda non riesco a metterla in bocca. E neanche il pesce crudo. Non so… vedo il sushi, la tartarre, abbiamo anche tanti piatti con la carne macinata cruda, ma io non li faccio e non mi piacciono.
Ci sono tanti cibi che collego a persone, per esempio il kuppé lo collego a mia nonna. Anche i cibi che non le piacevano mi ricordano mia nonna. Per esempio i fagiolini, lei diceva: non è un cibo questo! Non le piacevano. Ogni volta che vedo i fagiolini con il sugo mi ricordo di lei. A mia mamma invece non piaceva il fegato. Ogni volta che cucinavo il fegato lei scappava fuori casa, non voleva. Io da piccola odiavo la carne con lo yogurt cucinato, perché noi cuciniamo lo yogurt. Io lo odiavo. Quando una cosa veniva cucinata con lo yogurt io mi tappavo il naso. Non entravo neanche in casa. Invece adesso lo adoro. Lo faccio io e lo cucino io. Come lo faccio io mi piace, perché il gusto vecchio era molto acido, aspro, e per me era terribile. Lo faccio con le zucchine ripiene, con i cavolfiori, con la carne di agnello è buonissimo. Lo faccio per il ristorante, ma se qualcuno lo vuole deve prenotare e costa tantissimo, perché è tanto lavoro e usiamo lo yogurt stagionato di capra che importiamo dalla Palestina, dalla zona dove è nato mio marito, dove è ancora tutta la sua famiglia. Sennò lo posso fare anche con lo yogurt che faccio io, che è molto laborioso. Lo faccio con fermenti dello yogurt. Prendo yogurt normale, lo butto dentro al latte, che poi diventa yogurt.
Il cibo per me adesso è cultura. Quando io cucino qua, per esempio, anche il falafel deve essere buono, fatto con cura, non deve assorbire olio. Lavo bene la verdura prima di metterla. Perché prima di fare qualsiasi cosa penso agli altri, mi metto dalla parte dell’altro, subito. Qualsiasi cosa che cucino deve essere leggera, e nutriente perché di alta qualità. Io non guadagno soldi qua, perché compro tutto di alta qualità, dell’olio extravergine il migliore, la farina migliore, le verdure supermigliori… È una mentalità nostra, qua. Usiamo ingredienti molto molto buoni, perché mi metto nella parte del cliente. Come mi piace mangiare? pulito? sano? bello? e mi danno schifezze? Se io do schifezze, allora penso che tutti gli altri lo fanno. Allora non riesco, no… O anche se lo fanno gli altri, io lo faccio al modo mio. E, quando cucino, il cliente deve dirmi che era buonissimo, che non era pesante, che era saporito. Il cliente deve uscire soddisfatto, e a me piace cucinare in questo modo.
Mi metto sempre nella parte dell’altro. Quando per esempio viene il ragazzo di Globo a prendere il cibo da portare via, mi dicono: sei diventata un’altra persona, sei matta! Perché sei agitata? Ieri pensavo… perché tutti mi dicono: “sei agitata!”? Io, appena arriva un ordine, devo correre a farlo! Ho pensato che veramente io mi metto nella parte del ragazzo che viene e deve aspettare. Io odio aspettare e penso che anche lui sarà infastidito ad aspettare fuori. Lui lavora a ore e a consegne. Se tu lo lasci qua 10 o 15 minuti in più, perché non ti interessa niente di lui, lui soffre! E poi c’è il cliente seduto, che sta aspettando da mangiare. Se io faccio con calma, e non mi interessa niente, si stufa la gente. Se io mi trovo al posto di quel cliente, io mi arrabbio. Allora faccio tutto veloce! Sono tutte cose mie…
Poi le persone prima di uscire passano a salutarmi, a farmi i complimenti, e mi danno tanto coraggio: brava Nada, stai facendo molto bene, era tutto buonissimo, viva la cuoca! Tante volte mi hanno applaudito, la sala intera, erano tutti contenti, erano tutti soddisfatti.
Il cibo, non i soldi! Non sto guardando quanto guadagno. Guadagniamo per la sopravvivenza, ma abbiamo guadagnato dei commenti bellissimi. Si vede su internet, puoi guardare lì. Ristorante Aladino, le recensioni parlano da sole. A me non interessa cosa scrive la gente, ma sono contenta quando vedo che ci sono tanti commenti molto molto belli.
Vedi, lavorare in un ristorante è faticosissimo, forse si potrebbe guadagnare tanto, ma questo non è il mio obiettivo. Mi interessa vivere un pochino meglio, dare ai figli la possibilità di vivere come gli altri. Ma è sempre stato la possibilità di avere soddisfazione di dare cibo buono, cibo di qualità, e il resto non importa. Questo locale era un bar. Con pochissimi cambiamenti siamo riusciti a farlo diventare ristorante. Tante persone entrano: signora, dove è la sala? È questa, signore! Sono entrate persone, dei tipi magari un po’ aristocratici, che hanno sentito che si fa da mangiare buono, sai com’è il passaparola…: ma dove ci si mette, signora?
Mi ricordo una volta, si sono seduti lì in fondo, volevano provare, ma si vedeva che erano dubbiosi… Appena hanno cominciato a mangiare, sentivo che dicevano: che buono, ma che buono! E quando sono venuti a pagare avevano un sorriso fino a qua! E questa è la soddisfazione, con poche cose, non è importante la ricercatezza. L’importante è dare un cibo sano, e che il cliente esca contento e non si svuoti le tasche. Perché siamo umani tutti, e abbiamo bisogno di avere cuore tutti quanti. Noi abbiamo il cuore, ma siamo macinati in questa vita, tutta difficile. Abbiamo il cuore per vivere, non solo il cibo, non solo i soldi, non solo tutto quello che vediamo… abbiamo il cuore da metter sopra a tutto, e così stiamo bene, secondo me, quando hai il cuore stai bene con tutto.
Intervista raccolta da Maurizia - Padova, 2023